Dettagli Recensione
Vittorio Russo
Voto medio
5.0
Insegnamento
5.0
Laboratori
5.0
Ambiente
5.0
Il Nautico di via Tarsia e il Golfo del TCI
Uno straordinario luogo dove ho imparato a comminare nella vita e... sulle acque
Sono un capitano di lungo corso diplomato al Nautico di Via Tarsia: una gloria nazionale della quale dovremmo esprimere con orgoglio la ricchezza storica. A questo proposito vi rimando alla lettura di un ricordo del NAUTICO DI NAPOLI pubblicata in NAPOLI E IL GOLFO del Touring Club Italiano 2019.
L’Istituto Nautico di Napoli, Duca degli Abruzzi, quello di Via Tarsia, suo sito storico, è il più antico d’Europa, che poi - si può dire - anche dell’intero Pianeta. Anno di nascita 1623! Quando l’ho frequentato io, apprendista dei misteri del mare, stregato dall’esotismo narrativo del non-navigante e non-capitano di lungo corso Emilio Salgari, era una gloria della marineria. Quel luogo lì era per la mia esaltazione adolescente uno scrigno fantastico di avventure, un galeone dalla stiva ricolma dell’oro di sogni tutti da svelare. A renderlo magico come solo io sapevo immaginarlo, erano i suoi odori di cose d’acqua salata, di catrame, di minuterie marinaresche, così come di attrezzature nautiche maestose e sacre. Era l’arsenale sconfinato degli oggetti che sarebbero stati le parole del racconto della mia vita di navigante: dall’umile madiere scolpito in un legno poroso di anni, al prezioso sestante Salmoiraghi, dalla bussola Brabanti al grandioso Albero Maestro che troneggiava proprio al centro del cortile. Grandioso però è aggettivo riduttivo ora che ne parlo con animo da cui tracima nostalgia, perché ricordare qui è anche il modo per comprendere il fascino di quel tempo e di quel luogo. A quindici anni quel fascino diventava strada maestra di desideri e si andava già fissando nei recessi più intimi del sangue e del giudizio per svelarsi tanti lustri dopo. Andavo scoprendo soprattutto una Napoli di acque navigate nei millenni remoti dai cumani e degli euboici, con i profumi del suo golfo raccolti in un vento dalle ali spaziose. Il mare di Napoli soprattutto e il Nautico, decisori del destino di molti loro figli navigatori: tutti attratti dal fragore dalle bùccine di dèi domatori di onde... Io sono l’eredità di questo passato.
Il cortile dell’Istituto era uno spazio essenziale come un’agorà, circondato da candide colonne doriche fra le quali, alle otto del mattino, le classi si disponevano in ordine, come per un posto di manovra o un arrembaggio. Silenzio intorno. Un silenzio che nella mia mente calda di fantasie sussurrava misteri di abissi oceanici dove il suono era solo eco di profondità vergini che smarginavano nelle longitudini più inesplorate.
Al centro del cortile s’ergeva, simbolo stesso dell’Istituto e dell’arte del navigare l’Albero Maestro di cui ho detto, che era lì da una gloriosa corona di secoli. Io ho conosciuto il mare davanti a quest’Albero epico e del mare, davanti a Lui, ho sentito la voce parlare per versi indecifrabili. Dopo non ho più vissuto come prima.
L’Albero era scrupolosamente curato da un nostromo che sapeva di catrame e della canapa di gomene mai sazie di salsedine. Costui aveva due occhi vichinghi, bianchi e azzurri più del mare di maggio a Mergellina. Si chiamava Glauco, ma non ho mai saputo se questo fosse il suo nome, il cognome o il soprannome. Glauco! quale altro nome sennò? E poi con quell’arte e con quegli occhi marini, era per me Taumante stesso che nei suoi aveva le meraviglie dei flutti. Glauco non poteva chiamarsi che così! Era costantemente impegnato con bozzelli, cavicchi, sartie, sempre lì a verniciare carabottini e impiombare gasse. Di quell’Albero, per lui sacro più della ceiba, l’albero sacro dei Maya che viveva nelle profondità del non lontano Orto Botanico, egli conosceva tutto: ogni nodo del legno, ogni filo delle nervature e ogni crepa che medicava con oli e stucchi preziosi come ferite di una creatura viva cui si riservano attenzioni supreme. A pensarci, quest’Albero vecchio dei secoli della vita dell’Istituto si reggeva fiero e dritto solo perché stretto nella rete fitta degli stralli, dei venti ai quattro lati, delle griselle. Aveva la personalità di un titano ma era fragile come un bambino. Era la coscienza di tradizioni secolari riassunte in ogni sua molecola lignea. Aveva una sua identità leggendaria, forse anche un nome, come usava una volta sulle navi a vela. Sradicato dalla scassa del veliero su cui aveva signoreggiato imperioso fra venti e burrasche, l’Albero del Nautico di Via Tarsia di nomi non ne aveva più. Io idealmente gliene avevo assegnato uno fin dal giorno in cui m’impressionò per la sua gravità e i suoi segreti di testimone di tempeste. Memore di letture avventurose della prima adolescenza non potei che chiamarlo Folgore, pars pro toto del brigantino del Corsaro Nero.
Non ho mai dubitato che l’antichità dell’Istituto rievocata dalla scritta pomposa in un cartiglio di marmo dalle belle volute alludesse principalmente al passato dell’Albero. Era infatti un calendario dei secoli molto più di tutti i registri gialli di età e consumati da insetti divoratori di carta con i nomi leggendari di tutti i capitani di lungo corso, anche un po’ corsari, usciti dalle braccia dell’Istituto.
Ora, dopo secoli di vita, l’Albero non c’è più. La polvere del tempo ne ha roso le fibre, l’ignavia di uomini senza amore di ricordi ne ha dissipato la gloria. Vive però, credetemi, vive intatto nella memoria di quei capitani di lungo corso e anche un po’ corsari, che dalla sua coffa e dall’altezza della sua crocetta hanno traguardato linee di orizzonti incantati oltre le paratie dell’Istituto e le sue candide colonne doriche.
Sono un capitano di lungo corso diplomato al Nautico di Via Tarsia: una gloria nazionale della quale dovremmo esprimere con orgoglio la ricchezza storica. A questo proposito vi rimando alla lettura di un ricordo del NAUTICO DI NAPOLI pubblicata in NAPOLI E IL GOLFO del Touring Club Italiano 2019.
L’Istituto Nautico di Napoli, Duca degli Abruzzi, quello di Via Tarsia, suo sito storico, è il più antico d’Europa, che poi - si può dire - anche dell’intero Pianeta. Anno di nascita 1623! Quando l’ho frequentato io, apprendista dei misteri del mare, stregato dall’esotismo narrativo del non-navigante e non-capitano di lungo corso Emilio Salgari, era una gloria della marineria. Quel luogo lì era per la mia esaltazione adolescente uno scrigno fantastico di avventure, un galeone dalla stiva ricolma dell’oro di sogni tutti da svelare. A renderlo magico come solo io sapevo immaginarlo, erano i suoi odori di cose d’acqua salata, di catrame, di minuterie marinaresche, così come di attrezzature nautiche maestose e sacre. Era l’arsenale sconfinato degli oggetti che sarebbero stati le parole del racconto della mia vita di navigante: dall’umile madiere scolpito in un legno poroso di anni, al prezioso sestante Salmoiraghi, dalla bussola Brabanti al grandioso Albero Maestro che troneggiava proprio al centro del cortile. Grandioso però è aggettivo riduttivo ora che ne parlo con animo da cui tracima nostalgia, perché ricordare qui è anche il modo per comprendere il fascino di quel tempo e di quel luogo. A quindici anni quel fascino diventava strada maestra di desideri e si andava già fissando nei recessi più intimi del sangue e del giudizio per svelarsi tanti lustri dopo. Andavo scoprendo soprattutto una Napoli di acque navigate nei millenni remoti dai cumani e degli euboici, con i profumi del suo golfo raccolti in un vento dalle ali spaziose. Il mare di Napoli soprattutto e il Nautico, decisori del destino di molti loro figli navigatori: tutti attratti dal fragore dalle bùccine di dèi domatori di onde... Io sono l’eredità di questo passato.
Il cortile dell’Istituto era uno spazio essenziale come un’agorà, circondato da candide colonne doriche fra le quali, alle otto del mattino, le classi si disponevano in ordine, come per un posto di manovra o un arrembaggio. Silenzio intorno. Un silenzio che nella mia mente calda di fantasie sussurrava misteri di abissi oceanici dove il suono era solo eco di profondità vergini che smarginavano nelle longitudini più inesplorate.
Al centro del cortile s’ergeva, simbolo stesso dell’Istituto e dell’arte del navigare l’Albero Maestro di cui ho detto, che era lì da una gloriosa corona di secoli. Io ho conosciuto il mare davanti a quest’Albero epico e del mare, davanti a Lui, ho sentito la voce parlare per versi indecifrabili. Dopo non ho più vissuto come prima.
L’Albero era scrupolosamente curato da un nostromo che sapeva di catrame e della canapa di gomene mai sazie di salsedine. Costui aveva due occhi vichinghi, bianchi e azzurri più del mare di maggio a Mergellina. Si chiamava Glauco, ma non ho mai saputo se questo fosse il suo nome, il cognome o il soprannome. Glauco! quale altro nome sennò? E poi con quell’arte e con quegli occhi marini, era per me Taumante stesso che nei suoi aveva le meraviglie dei flutti. Glauco non poteva chiamarsi che così! Era costantemente impegnato con bozzelli, cavicchi, sartie, sempre lì a verniciare carabottini e impiombare gasse. Di quell’Albero, per lui sacro più della ceiba, l’albero sacro dei Maya che viveva nelle profondità del non lontano Orto Botanico, egli conosceva tutto: ogni nodo del legno, ogni filo delle nervature e ogni crepa che medicava con oli e stucchi preziosi come ferite di una creatura viva cui si riservano attenzioni supreme. A pensarci, quest’Albero vecchio dei secoli della vita dell’Istituto si reggeva fiero e dritto solo perché stretto nella rete fitta degli stralli, dei venti ai quattro lati, delle griselle. Aveva la personalità di un titano ma era fragile come un bambino. Era la coscienza di tradizioni secolari riassunte in ogni sua molecola lignea. Aveva una sua identità leggendaria, forse anche un nome, come usava una volta sulle navi a vela. Sradicato dalla scassa del veliero su cui aveva signoreggiato imperioso fra venti e burrasche, l’Albero del Nautico di Via Tarsia di nomi non ne aveva più. Io idealmente gliene avevo assegnato uno fin dal giorno in cui m’impressionò per la sua gravità e i suoi segreti di testimone di tempeste. Memore di letture avventurose della prima adolescenza non potei che chiamarlo Folgore, pars pro toto del brigantino del Corsaro Nero.
Non ho mai dubitato che l’antichità dell’Istituto rievocata dalla scritta pomposa in un cartiglio di marmo dalle belle volute alludesse principalmente al passato dell’Albero. Era infatti un calendario dei secoli molto più di tutti i registri gialli di età e consumati da insetti divoratori di carta con i nomi leggendari di tutti i capitani di lungo corso, anche un po’ corsari, usciti dalle braccia dell’Istituto.
Ora, dopo secoli di vita, l’Albero non c’è più. La polvere del tempo ne ha roso le fibre, l’ignavia di uomini senza amore di ricordi ne ha dissipato la gloria. Vive però, credetemi, vive intatto nella memoria di quei capitani di lungo corso e anche un po’ corsari, che dalla sua coffa e dall’altezza della sua crocetta hanno traguardato linee di orizzonti incantati oltre le paratie dell’Istituto e le sue candide colonne doriche.
Classe frequentata
tutte
Punti di forza della scuola
L'impegno dei professori e del preside. La forza della sua tradizione.
Punti deboli della scuola
La solidità dei ricordi positivi annulla ogni ombra negativa che forse non mancava.
Commenti sui professori
Tutti straordinari nei miei ricordi: Parascandolo, Buonagurio, la Madama Vallese, il prof. Monaco, la prof.ssa Serra Maria Caracciolo (che mi ha suggerito la trama di un libro), il prof. Vallese, Giacomino, Il Nostromo Scotto (che nel richiamo di Napoli e il Golfo riportato qui appresso è indicato come Glauco...), il custode serio e impeccabile sempre (nome sfuggito dalla memoria)... Gli altri non li ricordo più, ma ne ho le espressioni e le parole impresse indelebilmente nella memoria.
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Commenti
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Per Ordine
Capitano Russo complimenti. Una descrizione impeccabile. Mi ha commosso e ho osato immaginare di essere di nuovo vicino quell'albero nel cortile di Via Tarsia.
Bellissimi ricordi. Grazie mille.
Bellissimi ricordi. Grazie mille.
Ho letto con grande emozione l'articolo, sicuramente di un mio coetaneo!
Quel nautico è stata una grandissima SCUOLA!!!
Quel nautico è stata una grandissima SCUOLA!!!
Non posso che essere pienamente concorde con quanto espresso dal Cap. Russo che ha saputo trascinarmi in un vortice di struggente nostalgia al ricordo di una Scuola Superba e tuttora ineguagliata nello spirito e nella formazione e a cui devo tutto.
Io mi sono diplomato lì nel 1981 e quando nel recente passato sono transitato davanti a quel minuscolo piazzale antistante l 'ingresso dell'istituto, ho avvertito un senso di insopportabile desolazione nel vedere il penoso abbandono in cui versano quelle mura gloriose. Il tempo e gli eventi ne hanno cancellato lo splendore ma non la gloria del suo ricordo.
Io mi sono diplomato lì nel 1981 e quando nel recente passato sono transitato davanti a quel minuscolo piazzale antistante l 'ingresso dell'istituto, ho avvertito un senso di insopportabile desolazione nel vedere il penoso abbandono in cui versano quelle mura gloriose. Il tempo e gli eventi ne hanno cancellato lo splendore ma non la gloria del suo ricordo.
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